Alla Conferenza nazionale sui prodotti chimici: CLP, REACH, Biocidi e Fitosanitari, svoltasi a Roma presso l’Auditorium Biagio D’Alba del Ministero della Salute dal 29 al 31 ottobre 2025, il dibattito sulla crescente interdipendenza tra protezione delle piante, tutela dell’ambiente e sicurezza alimentare ha lasciato spazio anche a un tema complementare ma decisivo: il ruolo dell’innovazione tecnologica e la necessità di ripensare il modello di valutazione del rischio dei prodotti fitosanitari.
Il Direttore del Servizio Fitosanitario Centrale (SFC), il dott. Bruno Caio Faraglia, ha quindi proseguito il ragionamento già avviato nel precedente articolo: se la protezione delle piante è una responsabilità collettiva, allora occorre rivedere anche gli strumenti, i criteri e le metriche con cui oggi vengono gestiti i prodotti fitosanitari.
Un passaggio cruciale dell’intervento ha riguardato la valutazione dell’efficacia dei prodotti fitosanitari, spesso trascurata rispetto ai parametri tossicologici e ambientali: “grande assente è l’efficacia nei confronti degli organismi nocivi. Possiamo scegliere il prodotto meno pericoloso, ma se non funziona non serve a nulla”.
Secondo Faraglia, la sostenibilità non può essere solo un’etichetta, deve coniugarsi con l’efficacia. Infatti, “l’efficacia e l’impatto ambientale dipendono fortemente dalle modalità di trattamento. Non possiamo continuare a valutare la pericolosità solo sulla carta”, ed aggiunge che “non basta che un prodotto sia meno pericoloso: deve anche funzionare”.
Si tratta di procedere verso una valutazione integrata del rischio. Il nuovo paradigma, secondo il Direttore del SFC, è chiaro: “Dobbiamo iniziare a valutare il rischio del trattamento, non soltanto della sostanza attiva. Solo così possiamo garantire la tutela della salute, della biodiversità e delle produzioni agricole”. Ciò significa considerare l’intero processo: dal tipo di macchina impiegata al metodo di distribuzione, fino alle condizioni ambientali reali presenti in campo.

Il dott. Faraglia ha pertanto richiamato l’attenzione sull’importanza delle innovazioni tecnologiche. “Alle fiere delle macchine agricole osserviamo strumenti computerizzati straordinari, capaci di calibrare il trattamento in tempo reale. Eppure, le etichette dei prodotti riportano ancora indicazioni come i ‘volumi normali di irrorazione’, un concetto ormai superato dalle tecnologie attuali”.
Ha infine concluso con un esempio semplice ma incisivo: “Se utilizzo un prodotto pericoloso all’interno di una trappola sigillata, con dispersione pari a zero, il rischio è controllato. Viceversa, un prodotto moderatamente pericoloso ma nebulizzato in campo senza criterio può risultare molto più dannoso. Questa è la sfida del futuro: comprendere il contesto, non solo la chimica”.
Il messaggio che arriva dal convegno è forte e attuale: la protezione delle piante non è più una questione di confini o di singoli trattamenti, ma una sfida collettiva, multidisciplinare e profondamente legata all’innovazione.
Un invito a tutta la filiera, istituzioni, agricoltori, tecnici e industria, a costruire una nuova cultura della prevenzione, dove innovazione, efficacia e responsabilità ambientale camminino finalmente insieme.